L'approccio sistemico relazionale ha introdotto una rivoluzione nel modo di considerare le categorie del sintomo, della diagnosi e del trattamento, perché le ha ridefinite in termini relazionali.
Si basa sul presupposto che non è possibile spiegare lo sviluppo di un individuo indipendentemente dal sistema, cioè dalla rete di relazioni significative di cui esso é parte, né che sia possibile comprenderne il comportamento senza tener conto del contesto, cioè delle circostanze e situazioni, in cui esso ha luogo.
Con il termine “paziente designato” infatti si indica la persona portatrice di un problema che tuttavia, se letto all’interno del sistema in cui l’individuo è immerso, diventa portavoce di un disagio talvolta più esteso, di una difficoltà espressa a nome dell’intero sistema; non è considerato una vittima ma un partecipante attivo al gioco patologico che, anche in virtù della posizione occupata, spesso conquista notevole potere e privilegi. In questa ottica, le tecniche che si utilizzano hanno per obiettivo la modificazione di alcune regole del sistema, in particolare quelle modalità di comunicazione e di interazione tra i membri che sembrano non portare ai risultati sperati.
Il sistema famiglia può avere quindi un grande potenziale che è quello di essere in grado di aiutare il paziente a gestire e risolvere il suo malessere, rendendo la sua vita più funzionale. Specialmente in casi che riguardano i bambini o gli adolescenti (ambiti in cui la terapia familiare risulta un approccio particolarmente valido), lavorando con le famiglie, quelli che vengono chiamati blocchi evolutivi, possono ridursi o scomparire completamente.